Il legato di Chiarissimo Cionacci e la lampada alla Madonna del Soccorso

L’uso di collocare delle lampade davanti agli altari, alle immagini o alle reliquie è antichissimo ed ha esempi biblici. Senza interruzione continuò nelle chiese e monasteri cristiani a illuminare i simboli sacri in ossequio alle parole del Signore sulla luce spirituale.
Con rispetto e attaccamento, tale devozione fu praticata alla SS. Annunziata e oggi si può facilmente verificare guardando l’altare della Madonna adornato da lampade preziose di diverse epoche e di eleganti forme.
Le ricorda il libro Lampade votive ... (2011) assieme ai documenti medievali che ne parlarono in modo più o meno generico. Una scritta del 1402, ad esempio, menzionò Checo dalla Lastra cui il convento rimborsò la gabella dell’olio portato dai poderi per “ardere” nelle lampade.
Qualche decennio prima – è una notizia inedita – un’altra lampada fu presente nel santuario, attestata da una ‘fede’, cioè dal’autentica di un documento notarile esistente presso l’Archivio Fiorentino. Venne rogato da ser Ristoro di Iacopo da Figline e conteneva un legato del testamento del 21 novembre 1387 fatto scrivere da Chiarissimo del fu Meo Cionacci cittadino fiorentino.

Diceva riguardo alla lampada:
“Item voluit d. testator quod de bonis d. testatoris post ipsius testatoris mortem in perpetuum retineatur et retineri debeat in ecclesia Fratrum Sanctae Mariae de Servis de Florentia una lampana fulcita oleo cum lumine in ea semper existenti et ardente die noctuque ante tabulam Virginis Mariae in d. ecclesia existenti”.

(Tradotto è: ‘Inoltre il detto testatore volle che, dai suoi beni e dopo sua la morte, si mantenga e si debba mantenere nella chiesa dei frati di Santa Maria una lampada rifornita a olio con la luce in essa sempre stabile e ardente di giorno e di notte davanti alla tavola della Vergine Maria esistente nella detta chiesa’).

Segue il ricordo degli eredi universali dei beni: Chiarissimo e Giovanni “pupilli” (minorenni) figli del già defunto Bernardo suo figlio (forse morto poco tempo prima in quanto tra marzo e aprile era stato priore del comune) e Cione pupillo figlio di Giovanni anch’esso deceduto e sempre figlio di Chiarissimo di Meo.
Alla fine, le firme di autentica, semi illeggibili: “Carolus Gatt.”..., “ Mannus Mannius” – nome del notaio che fece il transunto dall’originale il 7 novembre 1600 – e Sebastiano Caccini.

Chiarissimo di Meo era stato un ricco e influente cittadino, socio dei lanaioli del Bene (1362-1364), gonfaloniere del comune dal 1 gennaio 1357 al 28 febbraio 1357 e priore per il quartiere di San Giovanni nel 1361, 1364, 1368, 1378, 1385 e 1387.
Nella chiesa di Sant’Ambrogio, dove fu sepolto, ebbe una tomba di famiglia e una lapide con su scritto “S. Chiarissimi Mei Cionacci et descendentium”.
Dei figli e dei nipoti si trova poco altro. Chiarissimo di Bernardo, tuttavia, negli ultimi mesi del 1412 fu a Siena, Roma e Napoli come collaboratore di fiducia di Rinaldo degli Albizi che aveva avuto una commissione per trattare un accordo tra i papi Gregorio XII e Giovanni XXIII, regnanti in contemporanea.
Così riportano i Documenti di Storia Italiana di Cesare Guasti che aggiunse nella nota: “Chiarissimo di Bernardo de’ Chiarissimi, che furono consorti de’ Cionacci. Abitò nel popolo di Sant’Ambrogio, in via Pietrapiana; e si trova che nel 1427 aveva anni cinquantuno”.
Era nato quindi nel 1376 o circa. Anche se gli viene attribuita la famiglia dei Chiarissimi, di certo si trattò del nipote del nostro “testatore”, minorenne nel 1387.
Sulla lampada in questione non trovo altro – guardando il mio Vita quotidiana del Quattrocento e Lampade votive citato.
La “tabula” della Vergine Maria fu quella della Madonna del Soccorso dietro il coro (e non l’affresco della SS. Annunziata).
È attribuita alla mano del pittore Bernardo Daddi († 1348) e forse, piace immaginarlo, fu vista da Chiarissimo di Meo al tempo della sua esecuzione.

Infine, discendente illustre di questa famiglia fu prete Francesco Cionacci erudito e letterato (1633-1714), procuratore nei processi di canonizzazione della beata Umiliana dei Cerchi, del servo di Dio minore osservante Benedetto Bacci da Poggibonsi, e accademico Apatista (Noferi Scaccianoce), della Crusca e delle Antichità Toscane.
Scrisse opere su Dante, sulla beata Umiliana (1673), il Sunto della Favellatoria dedicata a Francesco Redi (1679), le Memorie dell’insigne Madonna di Provenzano (1681), la Relazione delle Sante Reliquie della Chiesa metropolitana di Firenze (1685), per citarne alcune.
Lasciò pure due tomi di “Miscee Letterarie”, alcune stampate. Nel secondo tomo si trova un’interessante “Storia della Nunziata” che non credo sia stata mai pubblicata.

Paola Ircani Menichini, 12 maggio 2023.
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